Famiglia
Il treno dellAsmara sui binari della guerra
Gli ex guerriglieri stavano rimettendo in sesto una delle vie ferrate più pittoresche del mondo. Ma ora hanno dovuto tornare al fronte.
di Paul Ricard
Eora, con la nuova ?guerra dei poveri? tra Etiopia ed Eritrea, cosa sarà della gloriosa ferrovia italiana che gli eritrei tentavano di rimettere in sesto? A lavorarci fino al mese scorso erano soprattutto gli ex partigiani, protagonisti della guerra di liberazione contro il negus rosso Mengistu. Molti dei guerriglieri grazie a cui nel 1991 l?Eritrea è diventata indipendente si erano volentieri trasformati in operai. Ma adesso, dopo le prime vittime e i primi bombardamenti, i partigiani più giovani sono stati richiamati al fronte. E la ricostruzione della vecchia ferrovia coloniale rischia di fermarsi. La guerra aveva distrutto una delle strade ferrate più affascinanti del mondo, la guerra rischia di impedirne la ricostruzione.
Fu nel settembre 1975 che una locomotiva a vapore Ansaldo rimontò per l?ultima volta i 2400 metri di dislivello che separano il Mar Rosso dagli altipiani abissini, per entrare dopo sette ore nella stazione di Asmara, ancora sotto occupazione etiope. Poi, l?acuirsi della guerra civile suonò la campana a morto per la ferrovia che gli italiani avevano costruito tra il 1887 e il 1911, con un miracolo di ingegneria. In 117 chilometri la ferrovia saliva ad Asmara superando 30 gallerie e 64 ponti, con una pendenza media del 35 per mille. La strada ferrata proseguiva poi fino ad Agordat, verso il Sudan, con un percorso totale di 300 chilometri. Nel 1935 vi circolavano trenta treni al giorno. I viaggiatori salivano al porto di Massaua; poi la vaporiera saliva i pendii dell?Abissinia, superando stazioncine con i pergolati all?italiana fioriti di malva.
Tutto ciò fino al 1975, fino a quell?ultimo treno per Asmara. In realtà, gli eritrei erano insorti contro gli etiopi già dal 1961, mentre ad Addis Abeba regnava Hailé Selassié. Quando però il negus fu cacciato e al suo posto si insediò il regime marxista guidato da Mengistu, la lotta si radicalizzò. E a rimetterci fu anche il trenino. Negli anni ?70 la ferrovia fu via via smontata dall?esercito etiope e dai partigiani eritrei. Con binari e travi costruivano bunker e consolidavano trincee. Quando nel maggio 1991 gli etiopi lasciarono l?Eritrea, la ferrovia ormai non esisteva più. Ma dopo la dichiarazione d?indipendenza dell?Eritrea (25 maggio 1993), il presidente Issayas Afeworki lancia una mobilitazione che è un atto d?orgoglio nazionale: ricostruire la ferrovia esattamente com?era. Rispondono subito una cinquantina di veterani che hanno imparato il mestiere di ferroviere sotto gli italiani. Età media: 70 anni. Con entusiasmo, cercano di rimettere in sesto le vecchie locomotive Ansaldo, le Fiat, le Breda, le littorine che da vent?anni giacciono nel deposito di Asmara.
Uomini e donne, contadini e studenti, sono mobilitati per raccogliere il materiale ferroviario disperso per il Paese. Nel 1995, Italia e Usa propongono di costruire una nuova linea, dotata di materiale più moderno. Ma il governo non accetta. Per tre milioni e mezzo di eritrei la vecchia ferrovia del Mar Rosso resta un simbolo di di orgoglio nazionale. Da ricostruire tale e quale.
Negli uffici della stazione di Asmara, l?ex partigiano Amanuel Ghebre Selassié, ora ministro dei Trasporti, non ha dubbi: «Ricostruire la rete eritrea senza aiuti stranieri significa garantire l?emergere di una nazione indipendente. Riutilizzare un mucchio di ferraglie arrugginite prova quanto sia determinato il nostro popolo. E poi, con le vecchie locomotive questo treno può attirare visitatori da tutto il mondo».
Forse il ministro si illude, ma è bello pensare che sia così. Scendiamo verso Ghinda, a metà strada fra il Mar Rosso e l?acrocoro. Dozzine di operai avvolti nel tradizionale chamma camminano nel fango, per raggiungere il cantiere al chilometro 42. L?accampamento si sposta man mano che proseguono i lavori. Idriss e Tagai, 65 e 70 anni, aspettano le squadre di cui sono responsabili. Idriss supervisiona le travi, bada che siano collocate a 70 centimetri l?una dall?altra. Servono otto uomini per posare sulle travi un binario lungo nove metri e pesante tre tonnellate.
Mehari Tecle, 36 anni, ex leader della guerriglia, coordina i lavori , avanti e indietro per la via ferrata : «Il primo obiettivo è far funzionare il treno fino al km 70, cioè da Massaua a Ghinda». Ma adesso forse Tecle dovrà tornare al fronte. E chissà se qualcuno potrà prendere il suo posto.
Un camion russo Ural, strappato agli etiopi, è stato montato sulle ruote: serve a provare la via ferrata e a trasportare la massicciata al cantiere. Ma a Damas le piogge si sono portate via il ponte. I binari sono sospesi sul vuoto, il camion-treno non può procedere. Tutto il villaggio si mobilita e alla fine il camion riesce a proseguire.
Nelle officine della stazione di Asmara venticinque ferrovieri dai capelli bianchi tentano di resuscitare sei locomotive a vapore e altrettante diesel, tutte italiane. Conducenti o meccanici tra gli anni ?30 e ?50, sono la memoria della ferrovia eritrea. Tutti provano la gioia di un bambino alle prese con un trenino elettrico; solo che loro giocano con un treno vero, che ha segnato la loro giovinezza. Per Teka Teggai, 72 anni, la tecnologia dei quadranti di pressione non è cambiata. Nella sua tuta rattoppata, Seyoum Beraki, un ragazzo di 75 anni, riavvia le tre locomotive Ansaldo: sembrano funzionare come una volta. A 79 anni, Gherez Cardelli lucida bielle fino al tramonto con la stessa intensità del rancore che nutre per il nemico etiope.
Una volta al mese, i veterani fanno girare una delle motrici riparate. L?Ansaldo del 1925 si scuote, geme sui binari, muove lentamente dal deposito in una nuvola di vapore. Tutti gli anziani la scrutano, con una latta d?olio in mano, pronti a intervenire. Un ferroviere corre per manovrare l?unico scambio ancora in funzione. Chissà se questa locomotiva scenderà mai fino al Mar Rosso…
Serviranno anni di lavoro, non c?è dubbio. Ma soprattutto occorrerà che i venti di guerra alla frontiera con l?Etiopia smettano di soffiare. Che i massacri si interrompano e la ricostruzione riprenda. Solo allora la giovane nazione eritrea potrà riporre tutto il suo orgoglio in una strada ferrata, anziché in una vittoria militare. ?
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